La Corona Boreale è formata da un arco di sette stelle di magnitudine 4, tranne Gemma che invece è di magnitudine 2.

La Corona Boreale è l’unica corona in cielo nota a Eratostene e agli antichi Greci; per gli antichi Romani invece rappresentava la corona di Vulcano costruita “ex auro et indicis gemmis”, per quas Theseus existimatur de tenebris labyrinthi ad lucem venisse”, con gemme d’oro e indaco; oppure la corona di Anfitrite, probabilmente per la sua relativa vicinanza al Delfino associato a quella dea; o ancora la corona di gemme che Bacco offrì ad Arianna come dono nuziale, e che poi scagliò in cielo alla morte di lei. Secondo un’altra leggenda, è la corona d’oro donata ad Arianna da Teseo dopo la loro avventura nel labirinto per uccidere il Minotauro. È stata raffigurata anche come una corona di alloro. In un’altra versione del mito, Arianna fu abbandonata da Teseo, e per il dolore si uccise gettandosi in mare: Dante ricorda questo episodio nella Divina Commedia, e chiamò la costellazione della Corona Boreale “la Figliuola di Minoi”, dando grande risalto al padre di lei,⁠ che “fu così rinomato per la sua giustizia da essere chiamato il Favorito degli Dei, e dopo la morte fatto Giudice Supremo nelle Regioni Infernali”.

Chaucer scrisse questo strano passaggio sulla costellazione: “E nel segno del Toro gli uomini possono vedere / Le pietre della sua corona brillare chiare”

ma questo sembra incomprensibile, a meno che non si tratti di una certa confusione nella mente del poeta, che avrebbe scambiato la posizione della Corona Boreale con quella delle Iadi.

Come la corona ardens delle Georgiche, Virgilio la incluse insieme alle Pleiadi come segno del calendario, traducendo il passo: “Ma se ari per seminare semi più solidi, per ottenere un raccolto di grano o d’orzo: / Prima che si collochino le Pleiadi del mattino, e la splendente corona di Arianna, prima che tu affidi il tuo seme alla terra, e lì osi affidare la speranza di tutto l’anno seguente.”

Columella, in un contesto simile, la chiamò Gnosia Ardor Bacchi, e Naxius Ardor, da Nasso, dove Arianna era stata abbandonata da Teseo.

Le stelle della Corona Boreale avevano anche un significato astrologico, come scrive Manilio: “Le nascite influenzate allora faranno sorgere belle aiuole di fiori, e avvolgeranno il loro gelsomino rampicante intorno ai loro pergolati; I gigli, le violette nei lineamenti dei banchi, il papavero purpureo e la rosa che arrossisce: per le ombre del piacere i loro monti crescenti cederanno, e figure reali dipingeranno il campo sfarzoso; oppure intrecceranno i loro fiori […] per onorare la loro padrona [···]”

Per i Persiani la Corona Boreale era Kāsah Darwishān, il Piatto del Derviscio, o Kāsah Shekesteh, il Piatto Rotto, perché il cerchio è incompleto. L’astronomo francese Ismael Bullialdus latinizzò alcuni di questi nomi.

Per gli antichi Cinesi era Kwan Soo, una corda.

Nella storia celtica Corona era Caer Arianrod, la Casa di Arianrod o Ethlenn, sorella di Gwydyon e figlia di Don, il Re delle Fate; questo nome ha una singolare somiglianza con quello della classica proprietaria della Corona.

Gli indiani Shawnee la conoscevano come le Sorelle Celesti, la più bella delle quali era la moglie del cacciatore Falco Bianco, il nostro Arcturus.

Caesius disse che rappresentava la corona posta da Assuero sul capo di Ester, o quella d’oro del re ammonita del peso di un talento, o la corona di spine indossata da Cristo.

Il Manoscritto di Leida la raffigura come una corona d’alloro o una tipica corona, e così compare nelle mappe. Nel Firmamentum Firmianum, un’opera del 1731 in onore del vescovo persecutore di Salisburgo, appartenente alla famiglia Firmian, il simbolo figurativo è quello della Corona Firmiana, con le corna di cervo tratte dallo stemma di quella famiglia.

Per gli australiani dell’area di Woomera, in Australia Meridionale, la Corona Boreale rappresenta un boomerang.

Nei pressi della stella Epsilon Coronae Borealis, il 12 maggio 1866 la nova ricorrente T Coronae Borealis salì velocemente dalla magnitudine 9,5 alla 2,3 ma dopo 9 giorni non era più visibile ad occhio nudo.